Ecologia si dice in molti modi. Per il suo fondatore, il naturalista tedesco Ernst Heinrich Haeckel, essa era «la scienza comprensiva delle relazioni tra l’organismo e il suo ambiente» (Haeckel 1866, p. 236). Ma nel tempo le idee, come gli organismi, si evolvono, moltiplicandosi e differenziandosi. Oggi non solo si parla di “ecologie” al plurale, ma l’ecologia, questa «scienza delle relazioni», è diventata essa stessa un paradigma: il modello di un pensiero basato sull’interconnessione tra i fenomeni in e con un ambiente. Tali fenomeni possono essere organismi viventi ma anche, appunto, idee, culture, forme dell’immaginario. E l’ambiente può essere naturale, ma anche sociale.
Gregory Bateson, epistemologo inglese, definisce «ecologia della mente» il processo di azioni reciproche che avviene tra le idee, e più in generale tra natura e cultura, tra idee e ambiente. Alla radice dell’ecologia della mente, dice Bateson, «vi è la nozione che le idee sono interdipendenti, interagiscono, che le idee vivono e muoiono. […] È una sorta di intrico complicato, vivo, che lotta e che collabora, simile a quello che si trova nei boschi di montagna, composto dagli alberi, dalle varie piante e dagli animali che vivono lì, un’ecologia, appunto» (Bateson 1997, pp. 399-400).
Questa premessa è utile per comprendere il presupposto teorico fondamentale dell’ecocritica, e cioè la visione di una permeabilità tra ambiente e cultura. Detto altrimenti, l’ecocritica, come metodo interpretativo, presuppone un’ecologia letteraria che è, a sua volta, una forma di ecologia della mente. Secondo l’ecologia letteraria testo e mondo sono ecologicamente interdipendenti. Tra essi si crea, cioè, un rapporto di azione e retroazione che investe più livelli: l’azione del mondo sul testo e, ancor di più, la possibile azione del testo sul mondo. Tra ambiente e cultura esiste una relazione che non è solo di contiguità, ma di reciproca influenza; e le opere letterarie possono avere la funzione di evocare i valori legati a questa reciprocità. Ciò implica un’idea di letteratura funzionale a un preciso intento educativo: se letti e interpretati in maniera “ecologicamente consapevole”, i testi letterari sono infatti un potenziale strumento di educazione etico-ambientale, in grado di “orientare” le interazioni tra esseri umani e ambiente.
Ma come nasce questo discorso? Nel 1972 uno studioso americano, Joseph Meeker, fa un’interessante riflessione:
Gli esseri umani sono le uniche creature letterarie della terra [...]. Se la creazione della letteratura è un’importante caratteristica della specie umana, allora bisognerebbe esaminarla con attenzione e onestà per scoprire la sua influenza sul comportamento umano e sull’ambiente naturale, per determinare quale ruolo, se ne ha uno, essa gioca nel benessere e nella sopravvivenza del genere umano […].Vista nell’ottica impietosa dell’evoluzione e della selezione naturale, la letteratura contribuisce più alla nostra sopravvivenza o alla nostra estinzione? (Meeker 1972, pp. 3-4)
Come l’intelligenza e il linguaggio, anche la letteratura è frutto dell’evoluzione della nostra specie. Riprendendo Darwin, Meeker afferma anzi che linguaggio e letteratura scaturiscono da un istinto umano analogo, per esempio, all’istinto comunicativo-musicale del canto degli uccelli. Secondo lui, tuttavia, la letteratura, da sola e in generale, non ha particolari virtù per la nostra sopravvivenza. Ci sono però generi letterari evolutivamente più vincenti di altri. La commedia per esempio è una strategia più vantaggiosa rispetto alla tragedia. Laddove la tragedia si fonda sul conflitto e la catastrofe, la commedia si basa su un modello più conciliatorio, che prevede orizzontalità, adattamento, co-evolutività. A ciò Meeker perviene sviluppando un’etica del gioco che combina insieme Darwin, etologia (studiò con Konrad Lorenz), ecologia umana e (implicitamente) Friedrich Schiller che, nelle Lettere sull’educazione estetica (1795), sostiene che l’essere umano è veramente se stesso solo quando gioca: nel gioco infatti si conciliano le due tendenze apparentemente opposte di legge e libertà.
La play ethic è un’etica fondata sulla collaborazione intra- e interspecifica. La sorregge la distinzione tra «gioco finito» (basato sulle regole, sulla competizione e finalizzato a un premio) e «gioco infinito» (in cui le regole sono fluide e mutevoli, la competizione assente, e il gioco fine a se stesso). Le differenze “ecologiche” tra commedia e tragedia possono allora essere schematizzare così:
COMMEDIA | TRAGEDIA |
Comportamento ecologico: Collaborazione | Comportamento antiecologico: Competizione |
Senso di unità intra- e interspecifica, circolarità | Separatezza tra le forme di vita, linearità |
Il personaggio si adatta al mondo e si modifica in esso e con esso | Il personaggio si scontra col mondo, fino alla catastrofe finale di uno dei due o di entrambi |
Sistema di valori aperto e inclusivo | Sistema di valori rigido e autoreferenziale |
Picaro | Eroe tragico |
Romanzo picaresco: carambole e ricongiungimenti di umanità e ambiente | Arcadia: pathos della frattura tra umanità e ambiente |
Visione orizzontale e democratica | Visione elitaria e gerarchica |
Quest’interpretazione dei generi letterari mette in luce due punti decisivi: in primo luogo, la necessità di sollecitare comportamenti creativi non competitivi ma collaborativi tra umanità e ambiente, tra umano e non umano; in secondo luogo, la possibilità di dare alle implicazioni etiche di questi comportamenti una forma narrativa, ricorrendo proprio alla valenza pedagogica della letteratura. Nel più ampio discorso etico-culturale, questo ci mostra quanto modelli educativi basati sull’orizzontalità tra le forme di vita, sulla collaborazione, sull’interdipendenza (in termini ambientali, come sociali), siano in realtà preferibili a modelli basati sul dualismo e sulla competizione. Ci invita, in altre parole, a superare la prospettiva antropocentrico-strumentalistica, secondo cui l’essere umano (specialmente nelle società occidentali) è nucleo di interesse e di valore, mentre la natura e le altre forme di vita sono semplici mezzi per il suo benessere.
L’idea che guida un’ecologia della mente, e quindi della letteratura, è che rinnovare i modelli educativi possa aiutare l’individuo umano a ricostituire quell’osmosi tra natura e cultura che non è identità, ma un sistema evolutivo di relazioni complesse. Perché per l’essere umano, come ci suggerisce Bateson stesso, e con lui pensatori come Ronald Laing, Paul Shepard, Edgar Morin, Erich Fromm, perdere la percezione della complessità significa perdere il mondo, diventare alieno a se stesso e a ciò che lo circonda. Per evitare forme di alienazione sempre più radicali, l’individuo deve quindi reimparare a rapportarsi al mondo secondo una visione non utilitaristica, ma libera. Deve reimparare a giocare con il mondo. Una letteratura che ci consenta di giocare con il mondo è insieme uno strumento pedagogico e una strategia evolutiva.
TRATTO DAL NUMERO 6 DI NEMETON
Tags: letteratura, myth