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I rigori climatici, la casa “passiva” e la resilienza

Posted by admin on January 17, 2011

casapassivadi Eduardo Zarelli

Con l’inverno la questione energetica legata alla climatizzazione delle nostre abitazioni torna stancamente attuale, data l’insensibilità e l’imprevidenza che caratterizza il modello culturale dominante. In tal senso, l’edilizia ecologica nasce come reazione alla grave crisi ambientale di cui l’attività del costruire è fortemente responsabile, incidendo per un terzo circa sul consumo totale di energia nel mondo. L’applicazione dei criteri di bioedilizia incontra ancora resistenze e i committenti per primi non sono abituati a pensare alle conseguenze ambientali delle proprie scelte. Tuttavia, un cambiamento nei comportamenti individuali nasce dalla consapevolezza per la propria salute e a una maggiore sensibilità verso il territorio e la qualità della vita. D’altronde, l’abbassamento del fabbisogno energetico necessario per il riscaldamento domestico è un punto nodale nel dibattito sulle emissioni CO2 e il crescente inquinamento atmosferico, tanto da presentarsi come una tra le misure più concrete ed efficaci per affrontare i mutamenti climatici. In molti paesi europei si stanno definendo programmi e norme per arrivare alla fine del prossimo decennio ad edifici e quartieri a zero emissioni. La Gran Bretagna, ad esempio, ha proposto che dal 2016 tutti i nuovi edifici residenziali debbano avere un peso climatico uguale a zero e che dal 2019 questa prescrizione venga estesa a tutti i nuovi edifici commerciali. Con queste misure le emissioni legate alla climatizzazione, alla produzione di acqua calda, agli elettrodomestici e alla illuminazione dovranno essere compensati da produzione di energia verde. Altri sette paesi europei, oltre alla California, stanno definendo programmi di progressivo irrigidimento delle norme in modo da arrivare ad edifici a zero emissioni entro la fine del prossimo decennio. La Francia, in particolare, punta ad avere un’edilizia ad energia positiva a partire dal 2020.

In cosa consiste quindi una “casa passiva”? È un’ abitazione che assicura una temperatura adeguata degli ambienti interni, in ogni stagione, senza ricorrere ad un impianto di riscaldamento convenzionale. Sono nate in Svezia, per poi diffondesi soprattutto in Germania, Austria e Olanda. Di recente sono approdate anche in Italia (concentrate per lo più nel nord del Paese), ma la più evoluta è in costruzione a Perugia, grazie al progetto dell’architetto Francesco Masciarelli. A differenza di quanto avvenuto nelle esperienze precedenti, l’edificio progettato ha ricevuto la certificazione di conformità da parte del PHI (Passiv Haus Institute), ente tedesco che ha definito gli standard a cui le costruzioni devono adeguarsi per potersi definire “passive” e quindi a zero emissioni di CO2. Essa permetterà consumi energetici fino a 15/20 volte inferiori a quelli di un’abitazione tradizionale, senza sacrificare il comfort: la temperatura interna sarà infatti mantenuta costante durante tutto l’arco della giornata e la salubrità dell’aria garantita grazie ad un ricambio continuo. “Non è un semplice esercizio d’innovazione tecnologica ed architettonica”, spiega l’architetto perugino, “ma una vera abitazione in cui poter vivere con la propria famiglia e sperimentare in prima persona una migliore qualità della vita”. Il calore apportato dal sole durante le ore diurne, quello generato dagli elettrodomestici e dagli stessi abitanti l’edificio sono “trattenuti” passivamente, in modo da ridurre al minimo l’esigenza di riscaldamento aggiuntivo durante la stagione fredda. In estate, invece, un controllo del calore solare in ingresso trasmesso dalle finestre e una buona areazione consentono un sufficiente raffrescamento dell’aria. In genere la tubatura che porta l’aria “fresca” prima di entrare nell’edificio passa nel sottosuolo: qui subisce un primo riscaldamento in virtù del calore proprio della terra (si tratta della geotermia a bassa entalpia). Per i periodi più freddi, il riscaldamento aggiuntivo consuma molto poco perché la potenza richiesta è bassa e l’energia per alimentare questi sistemi ricavabile da impianti a pannelli fotovoltaici. Per ottenere un simile controllo della temperatura degli ambienti occorre garantire un elevato isolamento termico dell’edificio, tanto nelle strutture opache (pareti, copertura e solaio contro-terra), quanto in quelle trasparenti (vetrate e finestre). Cruciale è la progettazione della struttura, gli orientamenti rispetto ai punti cardinali e gli ombreggiamenti (dovuti a vegetazione o presenza di altri edifici) e la messa in posa dei materiali. La scelta dei materiali isolanti e da costruzione deve emanciparsi da quelli comunemente usati oggi che richiedono grandi consumi d’energia, esauriscono le risorse naturali e nella loro composizione presentano innumerevoli sostanze nocive. La sostenibilità è – in controtendenza – garantita dai materiali tradizionali quali argilla, calce, pietra, fibre vegetali: tuttora abbondanti, mentre le scorte di legname possono essere garantite con la gestione equilibrata dello sfruttamento forestale. Questi materiali - con basse spese di gestione e manutenzione – sono facilmente riciclabili, producono poco o nessun inquinamento e una volta terminata la loro funzione edile, vengono riassorbiti nei cicli naturali dell’ambiente. La casa perugina ha superato brillantemente anche la verifica del cosiddetto blower door test, con il quale si va a misurare quanto calore (e quindi energia) venga dispersa a causa di perdite o imperfezioni costruttive: il valore rilevato è una perdita di 0,46 volumi d’aria all’ora, ben il 25% minore del valore massimo consentito dallo standard. Per edifici ordinari si considera normale un valore di 4 volumi/ora, vale a dire che ogni ora viene dispersa verso l’esterno una quantità d’aria pari a quattro volte il volume dell’intera costruzione. Le soluzioni strutturali adottate in questi esempi virtuosi sono estendibili anche a strutture più grandi e complesse, come interi condomini. “Non solo le abitazioni private”, sottolinea Francesco Masciarelli, “bensì soprattutto edifici pubblici e scuole non dovrebbero più prescindere da una progettualità edilizia di questo tipo; ci sono in cantiere anche progetti di recupero di strutture esistenti da trasformare in edifici passivi”. Queste applicazioni recepiscono uno dei concetti cruciali della sostenibilità: la resilienza. Pionieristicamente introdotto negli anni ’70 da Crawford Holling, definisce la capacità dei sistemi naturali o dei Social Ecological Systems (i sistemi integrati ecologici ed umani), di assorbire un disturbo e di riorganizzarsi mentre ha luogo il cambiamento, in modo tale da mantenere le stesse funzioni, la stessa identità. Il sistema ha la possibilità quindi di evolvere in stati multipli, diversi da quello precedente al disturbo, garantendo il mantenimento della vitalità delle funzioni e delle strutture del sistema stesso. Se questo nuovo concetto di edificazione si espandesse su larga scala, i benefici nel bilancio energetico e ambientale sarebbero evidenti. Le esperienze positive dei paesi del nord Europa dimostrano chiaramente che una coibentazione ben progettata e realizzata è la via più efficace ed economica per la salvaguardia del nostro ambiente dalle emissioni nocive. Ciò che si deve sviluppare è quindi una nuova etica del costruire che riconosca il rapporto virtuoso tra la cultura dell’abitare e l’ambiente naturale. La bioarchitettura può quindi recepire la sfida estetica dell’appropriatezza nei paradigmi urbanistici e architettonici della post-modernità. Rispettare un “territorio” significa renderlo “luogo” dell’abitare, preservandolo olisticamente in forme e proporzioni, consentendo alla sua energia di vivere e trasmettersi nel tempo senza dissipare lo spazio.

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Tags: architecture

19 Responses to “I rigori climatici, la casa “passiva” e la resilienza”

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