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Le piante e la cultura umana

Posted by admin on January 14, 2013

di Francesco Ferrini, Pier Luigi Pisani Barbacciani
Per gentile concessione dell’Accademia dei Georgofili

L’esistenza dell’uomo e lo sviluppo della civiltà presso i vari popoli sono stati, e sono tuttora, strettamente connessi al rapporto con il mondo vegetale ed all’utilizzazione dei suoi prodotti, ottenuti con sistemi sempre più organizzati e specializzati, evolutisi nel corso della plurimillenaria storia dell’agricoltura, a partire dalla sue forme embrionali comparse durante il neolitico.

Con il mondo vegetale l’uomo ha, infatti, sviluppato rapporti sempre più profondi e vasti, in connessione con l’aumento della popolazione nelle varie parti della terra e con i progressi delle tecnologie rivolte ad ottenere una crescente gamma di beni di consumo essenziali per la sopravvivenza o per il benessere dell’umanità. Tuttavia, fino dalle più antiche forme di civiltà, tali rapporti, hanno riguardato, in misura molto profonda, anche la sfera spirituale dell’uomo promuovendo la sua attività culturale ed esercitando un’influenza rilevante sul suo stato psicologico, mentale e salutistico. Questi ultimi aspetti, nell’attuale critica situazione tra ambiente di vita e benessere dell’uomo, assumono un’importanza notevolissima, meritando, pertanto, di essere adeguatamente studiati e valorizzati a livello pratico.

A partire da epoche protostoriche il mondo vegetale ha esercitato un grande fascino sull’uomo stimolandone la fantasia e l’immaginazione, suscitando emozioni e sentimenti di ammirazione, di stupore, di timore, rispetto e venerazione e suggerendo analogie tra i cicli biologici dei vegetali, i fenomeni della natura e le vicende della vita dell’uomo e degli animali. Si sono, quindi, sviluppati ed evoluti profondi rapporti tra il mondo delle piante e la cultura umana, rapporti che sono cambiati e modificati nei tempi in stretta connessione con vicende politiche e socio-economiche dei vari popoli. Interi volumi sarebbero, pertanto, necessari, per trattare in modo compiuto ed esauriente i significati ed i valori simbolici attribuiti a numerosissime specie vegetali nel settore religioso, poetico letterario ed artistico fino dai primordi delle varie civiltà. È stato, ad esempio, rilevato che il solo settore degli alberi è “uno dei temi simbolici più ricco e diffuso, la cui bibliografia, da sola, costituirebbe un libro” (Chevalier e Gheerbrant, 1999), mentre oltre 190 sono le specie vegetali, di cui più di 100 quelle erbacee, delle quali Cattabiani riferisce miti, simbologie e leggende.

Nell’ambito del mondo vegetale particolare rilevanza hanno assunto, nei rapporti culturali con l’uomo, gli alberi. La loro pluricentenaria longevità, che nel tempo collega varie successive generazioni umane, la potenza espressa dai loro tronchi poderosi, la maestosa dimensione della loro chioma che, protesa verso il cielo – dimora delle divinità iraniche – attira il fulmine che scava le loro membra, le loro radici che penetrano nelle misteriose profondità della terra – dimora delle divinità ctonie –, hanno fortemente affascinato l’uomo il quale, soprattutto nelle antiche civiltà, ha loro attribuito caratteristiche di sacralità ed in loro ha immaginato la dimora di esseri divini. Alberi sacri erano, infatti, coltivati nei giardini pensili della Mesopotamia e nelle terrazze delle Ziqqurat; nei fondali del mare Gilgamesh, l’eroe della epopea mesopotamica, risalente al III millennio a. C., trovò la pianta magica, la vite, che “ridà all’uomo la gioventù perduta” (Sandars, 1960); nel Pantheon degli Egizi era presente Sha, il dio della vigna; nel paradiso terrestre, Dio aveva posto due alberi, quello della “vita, in mezzo in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Genesi 2,9 e 3,4), il cui frutto fu causa del peccato originale, della condanna di Adamo ed Eva e della responsabilità morale dell’uomo; la fine del diluvio fu da Dio comunicata a Noè con un ramoscello di olivo portato da una colomba (Genesi 8,11); l’olivo è considerato simbolo della pace presso molti popoli della terra. Particolarmente ricco di significati simbolici l’albero di Jesse (Isaia 11,1:10), rappresentato in una vetrata di Notre-Dame di Chartres: “un ramo uscirà dalla stirpe di Isaia e dalla sua radice salirà un fiore” (Gesù) “ e lo spirito del Signore si poserà su di esso”; Gesù assimila alla vite il suo rapporto con l’umanità: “io sono la vite e voi i tralci” (Giovanni, 15,5); il Dio dell’Antico Testamento impose agli Ebrei che prendevano possesso della “terra promessa” di rispettare gli alberi dei nemici e di “non avventare la scure su di essi” (Deuteronomio 20, 19-20) (1).

Nella mitologia dei Greci, dei Romani, dei Celti e di altri popoli, numerose erano le specie di alberi sacri o comunque in qualche modo collegati al culto delle divinità: la quercia a Zeus e a Pan, l’olivo ad Atena, il mirto ad Afrodite, il fico a Dioniso e a Marte, il cipresso, tuttora simbolo di morte presso vari popoli, al dio degli Inferi, Plutone, la vite a Dioniso, il salice ad Osiride, il sicomoro ad Hator; la mela e la rosa erano il frutto e, rispettivamente, il fiore sacri ad Afrodite; la rosa era nell’Egitto sacra ad Iside; i meli dai pomi d’oro erano coltivate nel magico giardino sulle pendici del Monte Atlante. Buddha ebbe l’illuminazione (“risveglio”) ai piedi del pippal (Ficus religiosa). Particolare significato è stato, inoltre, attribuito presso varie religioni, all’albero cosmico considerato l’asse del mondo, in quanto collega con le sue radici il centro della terra con la sua superficie e questa, mediante il tronco e la chioma, con il cielo. L’albero cosmico, talvolta immaginato rovesciato, con le radici nel cielo e la chioma verso la terra, è stato rappresentato da varie specie: la quercia presso i Galli (nella Norma di Vincenzo Bellini l’altare per i riti druidici è situato sotto la quercia del dio Irminsul), il tiglio in Germania, il frassino in Scandinavia – dove era denominato Yggrasill , l’olivo nell’Islam, la betulla ed il larice in Siberia, il Ficus religiosa in India (considerato albero cosmico anche dai buddisti). Il vischio era simbolo d’immortalità presso i Galli, che lo chiamavano con un nome che significa “quello che guarisce tutto” e lo usavano in un complesso rituale dettagliatamente descritto da Plinio nella sua Naturalis Historia.

Il collegamento fra uomo e albero è espresso in modo particolarmente significativo dall’usanza dei nativi delle isole Akkaido e Sakalin, che piantano un albero alla nascita di un figlio e ritengono che la sua vita, forza, salute e vigoria, siano collegate a quelle dell’albero in una stretta connessione analogica, fisica e spirituale (Altman). Lo stesso Autore ha dedicato particolari ricerche agli alberi che hanno per l’uomo particolari significati, suddividendoli in otto categorie a seconda dei loro specifici valori simbolici.

Nella religione dei Greci e dei Romani i boschi erano considerati dimora di deità minori come le Ninfe, alcune delle quali vivevano in determinate specie: le Melie nel frassino, le Driadi nella quercia. Greci e Romani avevano boschetti sacri, oggetto o sede di culto, costituiti con varie specie, quali platani, frassini, olivi, querce. Grandi importanza ebbero i boschi presso i Celti, nelle cui radure i Druidi (etimologicamente secondo Plinio “uomini della quercia”, oppure, secondo altri, “grandi sapienti”) svolgevano i loro riti sacri in una atmosfera spirituale e psicologica che è stata stupendamente espressa da Bellini nella Norma, in particolare con l’aria “Casta Diva”. La cattedrale gotica di Notre-Dame di Chartres potrebbe essere stata ispirata dalla tradizione dei culti druidici celebrati nelle radure di boschi: la navata delimitata dalle colonne collegate in alto agli archi gotici e sovrastata dall’intreccio delle volte, ripeterebbe la naturale architettura del sentiero che sotto le chiome e le branche degli alberi portava alla radura della foresta dove si celebrava il rito religioso rappresentata nella chiesa dall’abside (Witcombe, 1998).

Sempre a proposito dei rituali druidici Le Roux osservava che: “il mondo celtico ha vissuto all’insegna del bosco sacro che ha frequentemente costituito un supporto del culto o un tema leggendario: la quercia in Gallia, il sorbo, il corilo, il frassino, la betulla in Irlanda e dappertutto il tasso, l’albero mortuario”. Non è, inoltre, infondato ipotizzare che per l’uomo antico “l’albero squadrato diventato colonna” nel tempio ricordasse “il santuario originale, il bosco sacro” (Brosse). E, in effetti, gli antichi templi della Grecia avevano colonne fatte con tronchi di alberi, dalle quali sono derivate le colonne di pietra con capitelli spesso raffiguranti chiome stilizzate (Vitruvio, I sec. a. C.).

In generale, il senso di sacralità degli alberi e del bosco così intenso e diffuso presso i popoli antichi, si è attenuato, fino a scomparire, in collegamento con l’evoluzione della cultura, con la diffusione delle conoscenze scientifiche sulla morfologia, la biologia e la fisiologia vegetale e con l’affermarsi del valore economico ed ecologico dell’albero e del bosco che hanno portato a vedere e considerare con prevalenza i loro valori pratici. Sotto il profilo specificamente culturale, inoltre, ormai da molti secoli, la diffusione delle grandi religioni monoteistiche – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – ha determinato la scomparsa dei precedenti sentimenti religiosi connessi agli alberi e al mondo vegetale in genere, verso il quale, tuttavia, permangono anche nell’attuale cultura laica, manifestazioni collegate a sentimenti sacrali, quali, ad esempio, l’uso quasi universale di circondare i cimiteri con cipressi, l’offerta di fiori ai morti e l’addobbo degli altari nelle chiese. Particolarmente significativa, a tale proposito, è la presenza dei cosiddetti “Garden Cemetery” presso la cultura americana.

Il mondo vegetale ha esercitato in tutte le epoche una profonda influenza ispiratrice sulla poesia, la letteratura, le arti figurative, la stessa musica. Nel settore della poesia esempi significati sono presenti già nella antica civiltà greca, quali gli splendidi frammenti di Saffo (VII-VI sec. a. C) (….. “quale dolce mela che su alto / ramo rosseggia, alta nel più / alto; la dimenticarono i coglitori; / no, non fu dimenticata: invano / tentarono di raggiungerla”), e di Ibico (VI sec. a.C.) (… ”sopra le sue alte foglie/ si posano anitre vaghissime / dal collo lucente coi colori del porfido / e alcioni dalle lunghe ali”). Nel XXIV canto dell’Odissea Ulisse descrive a Penelope l’olivo sul tronco del quale era stato costruito il letto matrimoniale: “Bella d’olivo rigogliosa pianta / sorgea nel mio cortile, i rami larghi, / e grossa molto, di colonna in guisa”. Tralasciando, per esigenze di sintesi, la letteratura romana, peraltro ricca di riferimenti poetici a piante e boschi, è significativo che il più grande poeta della lingua italiana inizi il suo divino poema assimilando il peccato in cui era caduto ad una “selva selvaggia, aspra e forte” e, successivamente, nel XIII canto dell’Inferno, imprigionando in alberi ed arbusti le anime dei suicidi (“uomini fummo ed or siam fatti sterpi”), riprendendo una metamorfosi presente nella mitologia greca (2), riportata da Virgilio nel III° libro dell’Eneide e dall’Ariosto nel VI canto dell’Orlando furioso. Ancora ad un bosco (“la divina foresta spessa e viva”), in questo caso di aspetto ed atmosfera diametralmente opposti a quelli infernali, ricorre Dante per esprimere nel XXVIII canto del Purgatorio, la serenità e l’armonia dell’uomo, libero dal peccato, nello stato di pura innocenza.

Venendo all’epoca contemporanea alberi, boschi, piante e fiori hanno continuato ad ispirare opere poetiche e letterarie che, ovviamente, non è possibile né citare tutte, né, tanto meno, esaminarle singolarmente. E’ sufficiente, peraltro, ricordare alcuni famosi esempi: Carducci, – “Davanti San Guido”, “Pianto Antico” -, Leopardi, – “L’infinito”, “La ginestra”-, Pascoli – “La quercia caduta”, “La canzone dell’ulivo”, “Il bosco”, “I gattici”, “Il castagno” -, Valeri -“Boschine del Po” -, Gozzano -“Monografie di varie specie” -, Quasimodo – “Albero”, “Eucalyptus” -, Trilussa – “Li pensieri dell’arberi”, “Er testamento d’un arbero” -, Montale – “I limoni” -, D’Annunzio -“La pioggia nel pineto” -, in cui il poeta ed Ermione escono “dalla loro dimensione umana fisica e spirituale” per entrare “a fare parte del mondo fisico della natura (Roncoroni, 1982). Tra gli stranieri sono da ricordare, in particolare, Garcia Lorca, – “Pioppo e torre”, “I gattici d’argento”, “Quercia”, “Alberi”, “Canzone orientale” -, Eisenin – “… / O seno di fanciulla, / verde capigliatura, / perché guardi, o betulla, la pozzanghera nera / …”-, Hölderlin, -“Gli alberi di quercia”, “L’albero”-, Prevert, -“Tant de forêt”. Boschi ed alberi hanno ispirato famosi racconti e romanzi. Basta citare, a tale proposito, Cassola – “Il taglio del bosco” -, Buzzati – “Barnabo delle montagne”, “Il segreto del bosco vecchio”, Giono -“L’uomo che piantava gli alberi”-, Calvino – “Il barone rampante”. Ed è sugli alberi che hanno le loro dimore gli elfi nello splendido ed enigmatico romanzo di Tolkien (1966) Questa idea fantastica non manca di suscitare una forte attrazione sull’uomo comune, tanto che un falegname scozzese sta facendo buoni affari con la costruzione di case da collocare su alberi, per bambini e per dimora di intere famiglie. È, inoltre, significativo che Tolkien (l.c.) affida ad alberi che pensano, parlano, sentono, camminano, amano, odiano, il compimento di azioni poderose che richiedono una potenza fisica inimmaginabile in altri esseri viventi. Ma è senz’altro Herman Hesse, lo scrittore, poeta, pittore che in modo particolarmente profondo ha sentito ed espresso il colloquio con la natura e soprattutto con gli alberi, ai quali ha dato un’anima ed un sentire umano, tanto da scrivere: “Per me gli alberi sono stati i predicatori più persuasivi. Li venero ancora di più quando se ne stanno isolati. Sono come uomini solitari, come Beethoven e Nietzsche” ( … )” “Perdere uno di questi alberi per me significa perdere un amico” (Hesse, 1952). E, inoltre, in “Ramo fiorito” (Hesse, 1986): “Sempre avanti e indietro / si tende al vento il ramo fiorito, / sempre oscillando / il mio cuore è teso come un bambino”.

È impossibile definire adeguatamente la presenza degli alberi, dei boschi, dei fiori nelle arti figurative, dagli Egizi, agli Etruschi, dai Greci ai Romani attraverso i secoli, ai nostri giorni. Non è esagerato affermare che pochi sono gli artisti che non hanno raffigurato nelle loro opere alberi, boschi, fiori e altri vari motivi vegetali, spesso con riferimenti a significati e simboli particolari, religiosi o culturali. Può esser sufficiente ricordare il celeberrimo dipinto della “Primavera” del Botticelli, in cui la sfarzosa fioritura genera uno spontaneo stupore, i dipinti del pittore fiammingo Justus Von Utens, raffiguranti i giardini delle Ville Medicee e la tormentata passione con cui Van Gogh sentì e dipinse alberi, fiori, frutti e campi coltivati: scriveva al fratello Theo, ad esempio, a proposito dei cipressi: “I cipressi continuano a preoccuparmi. Belli come un obelisco egizio” … “uno spruzzo di nero in un paesaggio soleggiato, ma è un punto di nero fra i più interessanti e più difficili da rendere esattamente che io possa immaginare” … “il nero è un colore” e i cipressi “sembrano fiamme”. In modo completamente diverso, ma ugualmente affascinante, è stato espresso il tema degli alberi da Piet Mondrian, tema che, scrive Nigro Covre, “stimola le ricerche spaziali di Mondrian sulla trama ramificata di segni” ed evidenzia “il percorso dell’artista verso l’astrazione” e, a proposito dell’opera “Melo in fiore”, osserva “L’albero appare completamente smaterializzato, tradotto in rapporti spaziali che l’artista proietta purificati sull’intero campo del quadro”.

Ugualmente ampi, complessi e diffusi presso tutti i popoli della Terra sono stati e sono tuttora i valori culturali legati alle specie erbacee ed arbustive con particolare riferimento a quelle utilizzate da epoche antichissime per i loro fiori recisi o a scopo ornamentale.

Non è, ovviamente, possibile trattare in dettaglio questo argomento. Può essere, a titolo di esempio, sufficiente ricordare la rosa, la regina delle piante da fiore, una delle specie più ricche di valori simbolici (Paterson, 1983), base etimologica del rosario dei cristiani, il mistico fiore i cui petali, nel XXXI canto del Paradiso di Dante, sono le anime dei beati: “in forma dunque di candida rosa/mi si mostrava la milizia santa/che nel suo sangue Cristo fece sposa”.

La rosa è stata elemento decorativo e oggetto di ammirazione a partire dalla civiltà dei Sumeri e di Creta (nel palazzo di Crosso, si trova una delle prime raffigurazioni delle rosa), degli Egizi, degli Ebrei (nel Cantico dei Cantici si legge “io sono la rosa di Sharon/il giglio delle Valli”). La rosa è ricordata da Erodoto (V sec. a.C.), che parla di un giardino di rose di Mida, re della Frigia. Venne dai poeti arabi fatta simbolo della perfezione, ed è stata adottata come simbolo araldico in Inghilterra (la rosa rossa dei Lancaster, la rosa bianca degli York). La rosa ha assunto nel Cristianesimo particolari valori simbolici: i cinque petali, le cinque ferite di Cristo crocifisso; le rose rosse, il suo sangue; la rosa mistica, la madre di Gesù. Le rose hanno ispirato numerosi poeti, da Saffo (VII-VI sec. a.C) e Anacreonte (VI-V sec. a.C.) a Khayyam (il poeta persiano del XI-XII secolo) il quale chiese che la sua tomba fosse posta in luogo in cui “il vento del Nord potesse spargervi petali di rosa”, fino agli autori più moderni. Numerose sono, infine, le composizioni musicali ispirate dalla rosa, tra le quali il balletto “Le spectre de la rose” (in “Invitation to the dance” di M.C. Von Weber), il “Cavaliere della rosa” di R. Strauss, gli “Scherzi musicali” di C. Monteverdi, le “Irish melodies” di T. Moore.

Altro importante collegamento tra mondo vegetale e uomo, che è stato recentemente indicato come parametro per valutare il contatto, la comunione culturale di un popolo con le piante, è rappresentato dalla quantità dei vocaboli e delle locuzioni presenti nel linguaggio (Bryant, l.c.). Pur mancando specifiche ricerche è fondato ritenere che la nostra lingua sia notevolmente ricca di queste forme lessicali.

Nel capitolo conclusivo del suo libro Altman osserva: “Quando ogni mattina usciamo di casa, quanti di noi vedono effettivamente gli alberi con il proprio cuore? Quanti sono consapevoli della loro della loro bellezza, grazia e potenza? Se divenissimo consapevoli dei tanti doni che riceviamo da essi durante la nostra vita quotidiana, noi cominceremmo a sentire gratitudine e rispetto per essi ed apriremmo la porta del nostro cuore per una effettiva comunione con loro”, comunione che è raggiungibile attraverso vari modi “visitando il loro habitat naturale, osservandoli con attenzione, fotografandoli o dipingendoli, parlandogli, riposando sotto la loro chioma”. Questa comunione di sentimento e pensiero con le piante, meditata e percepita da Hesse, Borchardt, Brosse, Altman, ed oggetto di riflessioni da parte anche di filosofi quali Cartesio, Nietzsche e Assunto (2001), quanto può entrare nell’anima dell’uomo “contemporaneo devastatore del suo mondo, che ha messo al vertice non il bene, meno che mai il bello. L’utile diventa categoria che contrasta con il bene morale, perché l’assoggetta” (Venturi Ferriolo)?

È certamente doveroso e giusto affermare la necessità di conservare, salvaguardare e valorizzare il mondo vegetale. È, tuttavia, anche vero che, molto, troppo spesso, si riconosce questa necessità più nella prospettiva di vantaggi economici e di benessere fisico dell’uomo – finalità assolutamente legittime – che per uno spontaneo incondizionato amore verso le piante e per il loro fascino che indusse i popoli antichi alla loro divinizzazione. In altri termini, usando le parole di Argan, si nota che: “A partire dalla cultura dell’illuminismo settecentesco, in un generale e progredente processo di secolarizzazione, il concetto di natura è stato decisamente separato dal concetto del divino e della creazione”, mentre, perché l’uomo giunga ad un vero rispetto delle piante, è necessario che entri in comunione con esse per un sentimento d’amore e non soltanto o esclusivamente per speculazione scientifica, per applicazioni tecniche o per interesse economico. Significativo appare, a questo proposito, quanto scrive Gibran: “Perché piangi, o mio grazioso fiore? Uno dei fiori sollevò il piccolo capo e mormorò: Piangiamo perché verrà l’uomo e ci spezzerà e ci offrirà in vendita sui mercati della città. Stasera quando saremo appassiti, egli ci metterà nel mucchio dei rifiuti”.

Per realizzare un rapporto essenziale con le piante è necessario, quindi, che l’uomo riesca a capire il loro linguaggio, rendendosi consapevole che “il dono supremo dell’uomo, la possibilità di esprimersi, non gli è stato dato in esclusiva. Esclusiva è la delicatissima funzione di trasporre in parole, in linguaggio verbale, le multiformi semiotiche con cui si esprime l’extra-umano” (Giannelli). Ed è ancora Tolkien che esprime con perfetta efficacia la comunione tra uomo e albero: “il legno in se stesso ed il suo contatto gli procuravano una gioia diversa da quella del falegname o della guardia forestale: era la gioia vissuta dall’albero che penetrava in lui”.

(continua)

Tratto da MANUALE DEL VERDE IN ARCHITETTURA, a cura di Maurizio Corrado, Wolters Kluwer 2012

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Tags: Alberi, myth, simboli

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