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« Appunti per una ecologia della letteratura
TERRA VERDE A PIAZZA PORTELLO A MILANO »

Lucien Kroll, un’intervista

Posted by admin on February 5, 2014

di Anna Lambertini

“Kroll ha un grande talento di architetto. Ne ha diffidato durante tutta la vita, puntando su una professione impegnata di solidarietà umana con qualsiasi persona e cosa che fosse diversa, sfruttata, povera, negletta, inquinata. Il suo linguaggio da dissonanza rock è passato presto ad adottare schemi sempre più vernacolari, perché più vicini e comprensibili ai suoi interlocutori, non i suoi clienti pubblici, ma gli utenti. In parallelo, senza mai entrare in uno schema politico organizzato, ha anticipato i temi di tante lotte ecologiste e no global. Molto preparato e innovativo sul piano tecnico, capovolgeva mezzi e fini sistematicamente, come l’uso sofisticato e precoce del computer come strumento di moltiplicazione della diversità.”

Ci siamo affidati alle parole di Franco Zagari, estratte dal luminoso ritratto tratteggiato nel 2007 in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’architetto belga, per introdurre questa breve intervista a Lucien Kroll raccolta per Nemeton lo scorso marzo a Milano, durante una pausa dei lavori del convegno “A Sustainable Beauty – High Green Tech Symposium 2010”, che lo ha visto tra i relatori.

Riconosciuto come un grande maestro del nostro tempo, celebrato a livello internazionale come una delle figure più rappresentative nell’ambito dell’architettura sostenibile e dell’urbanistica partecipata, Lucien Kroll colpisce per i toni pacati, la pungente ironia e l’energia comunicativa: un colto gentiluomo alto e sottile che ha saputo condurre la sua battaglia contro il “militarismo architettonico” con generosa forza propositiva, immaginazione attiva e infinita capacità di ascolto.

Seduti ad un tavolo dell’affollata caffetteria del Palazzo della Triennale, dove Lucien Kroll non sembra lasciarsi minimamente disturbare dal caos rumoroso di persone, cibi, oggetti che gli mulina intorno, diamo avvio alla nostra conversazione.

 

Architetto Kroll, che cosa è secondo Lei una “città ecologica”? Ed in che modo secondo Lei è possibile creare nel XXI secolo “città ecologiche”?

La città generata dalla cultura della Modernità è fondamentalmente anti-naturale, per la Modernità il rapporto tra la città e la Natura è nullo. Quella disegnata a tavolino dall’urbanistica ufficiale è una città burocratica, geometrica, piatta, dove non esistono spessori, si sopprime la scala del luogo e ci si ostina a cercare soluzioni razionali per questioni irrazionali, come la poesia dell’habitat, la dimensione magica dei luoghi…

La prima qualità ecologica di un quartiere, di una città, consiste nel far sì che la vita scorra attraverso i rapporti umani e sociali e quindi nel lasciare che esistano le differenze, le variazioni continue, le irregolarità.

Non si tratta tanto di riportare la Natura in città, ma piuttosto di far sì che le città siano naturali, il che significa renderle ricche di diversità, proprio come accade in Natura, lasciando agire anche l’imprevisto, l’inatteso, e soprattutto lasciando intervenire direttamente gli abitanti. Si può dire che il grado zero dell’urbanistica ecologica consiste nel costruire relazioni con e tra gli abitanti, e questo vuol dire favorire le azioni dei comitati di quartiere, ascoltare i loro bisogni, farli partecipare ai processi ideativi di trasformazione dei loro habitat.

Rendere le città naturali non significa dotarle di “mixed borders di piante civilizzate”, ma piuttosto creare forme urbane che siano “umanamente” naturali.

 

Queste considerazioni ci conducono direttamente al concetto di biodiversità, attualmente molto presente nelle politiche urbane legate al concetto di eco-sostenibilità, ma che Lei ha introdotto già da molto tempo nella sua filosofia di lavoro, offrendone una efficace chiave interpretativa.

Sì, la biodiversità è un concetto che possiamo applicare con efficacia all’urbanistica contemporanea.

In genere, i poteri politici, le amministrazioni, i cittadini stessi sopprimono la diversità.

Le persone sono diverse, ma di norma non vogliono vederlo e non domandano di esserlo: la diversità non è ben vista. Non si può essere divergenti, laterali, gauchiste, scontenti…

Eppure sono proprio i “ribelli” con tutto il loro immaginario non conforme a fare la diversità; sono i ribelli che, se attivi, arrivano a realizzarla, anche con le amministrazioni, quando queste riescono veramente ad accettarla.

Di solito i comitati di quartiere sono tenuti in gran considerazione: eppure mi è capitato di rado di trovarne uno che sia riuscito ad ottenere veramente quello che voleva. In genere funziona così: c’è un cattivo progetto, il comitato vi si oppone ed il meglio che riesce ad ottenere è di far fuori il progetto, mai di partecipare alla sua ideazione. Non si arriva a collaborare insieme, amministrazione e cittadini.

Gli abitanti devono invece essere ascoltati ed incoraggiati a partecipare alla trasformazione dei luoghi in cui vivono. L’immagine di un quartiere non può essere il risultato di un’organizzazione meccanica o di una pianificazione tecnologica, ma piuttosto l’espressione della rete di relazioni multiformi tra coloro che lo abitano.

La biodiversità nei quartieri esiste quando vengono mescolati insieme lavoro, commercio, residenza, ricchi e poveri e non quando si cerca di confinare gli uni e gli altri in zone circoscritte e separate. Purtroppo l’urbanistica tradizionale, basata sulla zonizzazione astratta, non ci ha abituato a mescolare insieme le differenze e ci ha portato ad aver paura della creatività spontanea…

I ribelli, i comitati di quartiere, gli emarginati, le piante spontanee e le malerbe che crescono tra i sanpietrini di solito sono proprio le vittime naturali dell’urbanistica “ufficiale”!

 

Lei però ha saputo dimostrare che è possibile sovvertire le regole dell’urbanistica “ufficiale”, sviluppando processi alternativi di trasformazione dei luoghi: ad esempio nel piano per il quartiere di Ecolonia, in Olanda…

Ecolonia può essere considerato il primo quartiere sostenibile europeo: è stato costruito tra il 1990 ed il 1993. Fui incaricato dal governo olandese di sviluppare un piano generale per un quartiere che funzionasse secondo i principi dell’ecologia urbana. Ho costituito un team di 9 architetti, per assicurare una maggiore varietà di soluzioni e per poter mescolare liberamente e a caso le diverse componenti urbane. In effetti, a Ecolonia ho guidato la “disorganizzazione” di un team!

 

Dalla biodiversità urbana al concetto di Terzo Paesaggio Urbano il passo è breve: ho trovato una Sua rielaborazione del Manifesto del Terzo Paesaggio di Gilles Clément in cui ha adattato i 24 enunciati alla dimensione urbana e ne aggiunto ancora uno: “La biodiversité urbaine ne peut reposer seulement sur un dessein (d’après Friedrich Hayek…)”.

Ah sì? (n.d.a. Ride, sorpreso) Davvero, ha trovato quel testo? E’ stato facile per me fare quell’operazione… condivido i contenuti del Manifesto di Gilles Clément e così è bastato solo aggiungere qualche parola e tutto il testo funziona ancora molto bene. E’ stato anche divertente farlo, come un gioco…

 

Oltre a Gilles Clément, ci sono attualmente a livello internazionale altri personaggi del mondo dell’architettura, dell’urbanistica, della paesaggistica al cui lavoro, pratico e/o teorico, guarda con particolare interesse?

A dire il vero non molti. Ho citato stamani nella mia relazione al convegno alcuni nomi: Jamie Lerner, con la sua operazione su Curitiba, Francis Halleé, Bernard Lassus, che ha sublimato la sensibilità degli “abitanti paesaggisti” e l’ha conservata come substrato empatico del suo lavoro. Poi Luis Guillaume Le Roy l’artista – giardiniere che in Frisia ha costruito nel tempo la sua eco-cattedrale.

Stimo moltissimo il lavoro del paesaggista americano Richard Haag. C’è quel progetto formidabile che ha realizzato vicino a Seattle, un parco che è stato poi donato all’Università di Washington: la Bloedel Reserve.  E’ un bosco – parco molto grande ( n.d.a. si estende per una cinquantina di ettari): prima c’era una foresta di cedri ed apparteneva ad un privato; il proprietario fece tagliare i cedri, in seguito se ne pentì e decise di farne un parco. Là Haag ha realizzato una sequenza di quattro giardini, tra cui uno straordinario giardino di muschio ispirato alla tradizione giapponese (n.d.a Haag ha ricevuto per il progetto della Bloedel Reserve il suo secondo riconoscimento ASLA; il primo fu ottenuto per il progetto del Gas Work Park di Seattle).

 

E se guarda agli anni della Sua formazione universitaria, c’è un Maestro che ricorda in modo particolare?

Sono stato molto influenzato dal pensiero e dal lavoro di Gaston Bardet (n.d.a. Bardet fu direttore dell’Institut International et Supérieur d’Urbanisme Appliqué di Bruxelles dal 1947 al 1973 ), un vero innovatore che prese posizione contro le teorie di Le Corbusier, proponendo un metodo di pianificazione urbana basato sull’osservazione della ricchezza delle componenti sociali e fisiche spontanee.

 

E, per finire, c’è un Suo progetto, un Suo lavoro, a cui tiene particolarmente?

Sì certo: il prossimo, quello che deve ancora arrivare!

 

 

Intervista tipo di Nemeton

 

Tre parole per definirsi:

Pesci, intollerante all’autorità, amo gli studi e l’azione

Passioni?

La vita

Come Le piace passare la domenica?

Mi piace passeggiare, dipingere, scrivere e leggere…in effetti mi piace poterlo fare tutti i giorni

Cosa guarda in TV?

Il telegiornale, a volte i film

E qual’è l’ultimo film che ha visto?

…non ricordo!

L’ultimo libro che ha letto?

Il saggio di Mike Davis “La città di quarzo”

Cosa le piace fare?

Il mio lavoro!

Se non fosse diventato architetto, cosa altro Le sarebbe piaciuto fare?

Credo il medico omeopata

In quale periodo storico Le sarebbe piaciuto vivere?

Proprio quello in cui sto vivendo!

Dove Le piacerebbe vivere?

In luoghi dove c’è un clima caldo

Le Sue tre città preferite?

Bruxelles, Paris, Roma

Il Suo attore preferito?

Jacques Tati

Il Suo regista preferito?

Federico Fellini

Il Suo artista preferito?

Joseph Beuys

Un colore?

Il rosso

Un/una cantante?

Cecilia Bartoli

Quali sono i Suoi piatti preferiti?

Quelli che cucina mia moglie! E comunque mi piace la cucina tradizionale

Con chi vorrebbe passare un weekend?

Louis Le Roy

Fare a box?

Nessuno!

Un segreto?

L’ho dimenticato…

 

TRATTO DAL NUMERO 5 DI NEMETON

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Tags: architecture, paesaggio, pensiero

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